
La Direttiva 79/409/CEE cosiddetta “Uccelli”, successivamente aggiornata dalla Direttiva 2009/147/CE, concerne la conservazione degli uccelli selvatici. Gli Stati membri hanno classificato, quali Zone di Protezione Speciale (ZPS), i territori più idonei in numero e in superficie alla conservazione di dette specie. La Direttiva 92/43/CEE meglio conosciuta come “Habitat”, è invece relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, tramite la costituzione di una rete ecologica coerente di Zone Speciali di Conservazione (ZSC, derivate dai proposti Siti di Importanza Comunitaria pSIC), denominata Rete Natura 2000. Quest’ultima comprende anche le già menzionate ZPS.
Il DPR 8 settembre 1997, n. 357 “Regolamento recante attuazione della Direttiva Habitat relativo alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”, all’articolo 4 stabilisce che spetta alla regioni assicurare le opportune misure per evitare il degrado dei siti della Rete; che spetta sempre alle regioni l’adozione di misure di conservazione necessarie, che implicano all’occorrenza appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali, che siano conformi alle esigenze ecologiche degli habitat naturali e delle specie individuate dalle regioni; che, qualora i siti Natura 2000 ricadano all’interno di aree naturali protette, per la parte ricompresa dall’area naturale protetta si applicano le misure di conservazione per questa previste danna normativa vigente.
L’art. 5 ( così come modificato dall’art. 6 del DPR. n. 120/2003) recepisce l’art. 6 della Direttiva Habitat, il quale definisce la cornice univoca per la conservazione e la gestione dei Siti che costituiscono la rete Natura 2000, fornendo tre tipi di disposizioni: propositive, preventive e procedurali.
Tale passaggio normativo riveste un ruolo chiave per la conservazione degli habitat e delle specie all’interno dell’Unione Europea, nonché per il raggiungimento dei diversi obiettivi di tutela previsti per ciascun sito della rete Natura 2000, e vede connaturato in sé il perseguimento del delicato equilibrio fra conservazione dell’ambiente e attività socio-economiche. L’approccio, come per le altre valutazioni ambientali, è sempre di tipo preventivo, volto ad individuare le possibili incidenze negative derivanti dall’attuazione di un determinato piano, progetto, programma e/o attività non direttamente connessi o necessari alla gestione di un sito Natura 2000. Questo perché attraverso la definizione di un determinato sito Natura 2000 (sia esso una Zona Speciale di Conservazione oppure una Zona di Protezione Speciale per l’avifauna, così come indicato dall’art. 7 Direttiva Habitat) lo Stato che lo ha definito fornisce un contributo qualitativo e quantitativo in termini di habitat e specie da tutelare a livello europeo, al fine di garantirne – nel lungo termine – il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente.
Va notato attentamente che per quanto riguarda l’ambito geografico, la procedura di VIncA non si limita agli interventi che si verificano esclusivamente all’interno del sito Natura 2000; essa invece ha l’obiettivo di valutare anche interventi situati al di fuori del sito ma che potrebbero avere un effetto significativo su di esso, indipendentemente dalla loro distanza dal sito in questione (cause C-98/03, paragrafo 51, C-418/04, paragrafi 232, 233).
All’art. 6, il DPR 357/97 prevede infine che gli obblighi relativi alle misure di conservazione e alla Valutazione di incidenza ambientale si applichino anche alle ZPS, istituite sulla base della Direttiva Uccelli.
Procedura in vigore
Come accennato, l’introduzione dello studio di VIncA in Italia risale al 1997. Da quel momento e nel corso di più di un ventennio, le varie regioni e province autonome hanno emanato sostanzialmente ognuna un proprio procedimento di Valutazione di Incidenza Ambientale. Seguendo, questo sì, linee guida (quindi non un regolamento) comunitarie, le quali però non essendo obbligatorie o vincolanti, hanno permesso che si instaurasse scarsa uniformità di approccio allo strumento della VIncA.
Lo Stato Italiano ha ovviato a questo problema emanando, sul finire del 2019, proprie linee guida nazionali, approvate sulla base dell’Intesa Stato-Regioni e Province Autonome del 28/11/2019 (GU Serie Generale n.303 del 28-12-2019), concernenti le modalità di attuazione dei paragrafi 3 e 4 art. 6 Direttiva Habitat. Ciò ha rappresentato, se non una rivoluzione, un forte cambiamento in materia, in quanto detti enti locali sono adesso chiamati ad uniformare la propria normativa con le linee guida ministeriali approvate dall’Intesa. Da sottolineare che le “Linee Guida Nazionali per la Valutazione di Incidenza” sono state predisposte nell’ambito dell’attuazione della Strategia Nazionale per la Biodiversità 2011-2020, e per ottemperare agli impegni assunti dall’Italia nell’ambito del contenzioso comunitario EU Pilot 6730/14, e costituiscono il documento di indirizzo di carattere interpretativo e dispositivo, specifico per la corretta attuazione nazionale dell’art. 6, paragrafi 3, e 4, della Direttiva 92/43/CEE Habitat1.
Di seguito si riportano, rispettivamente:
- lo schema esemplificativo della procedura Valutazione di Incidenza in relazione all’articolo 6, paragrafo 3 e 4 della Direttiva 92/43/CEE Habitat;
- lo schema rappresentativo dei livelli della Valutazione di Incidenza, riportati nella Guida all’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva 92/43/CEE (versione 2019).


Da notare infine che il Consiglio di Stato, con recente sentenza, ha detto NO all’acquisizione del parere di VIncA in fase ex-post intervento.
1Fonte: MITE